Convivo dalla nascita con due disabilità sensoriali. Ho un background da pedagogista. Da sempre mi pongo molte domande.
Mi capita di parlare spesso con genitori, conoscenti e amici in riferimento al mondo scuola. La genitorialità porta ad una condivisione, un confronto, un chiedere. Non sempre e non con tutti, ovviamente.
Negli anni 80 sono stata una studentessa con una sordità congenita. Fortunatamente era perfettamente compensata da uno strumento, le protesi acustiche. Il mondo della scuola e il mondo in generale erano molto diversi da quello attuale. “Non meglio, non peggio, solo un po’ diverso“. I giudizi di valore non aiutano mai la comprensione delle cose. Questo, credo, dovremmo tenerlo sempre tutti ben presente.
Ho fatto i dettati, come tutti. Sono stata messa al primo banco e all’ultimo, come tutti. Ho eseguito verifiche, interrogazioni, scritto temi, prodotto elaborati, come tutti. Senza aiuti e senza nessun tipo di supporto e sostegno.
Ho scoperto tantissimi anni dopo che ad un primo colloquio conoscitivo con una preside di una nota scuola di Monza (ancora attiva), i miei genitori si sono sentiti dire che in quella scuola non avevano possibilità di ricevere sostegno. Senza neanche avermi mai incontrata. Quindi senza aver valutato il singolo caso. I miei genitori, a quel punto, hanno semplicemente deciso di cambiare istituto.
Ci tengo a precisare che non sono contraria alle relazioni dei neuropsichiatri, ai supporti necessari per chi ne ha bisogno. Il sostegno e i docenti che svolgono questo ruolo sono fondamentali. La scuola di oggi non potrebbe farne a meno.
Sto solo raccontando la mia storia. Potremmo definirla come la mia versione dei fatti. Una delle tante realtà possibili. Prendiamolo come uno spunto di riflessione.
È innegabile che il non aver avuto nessun tipo di supporto, di aiuto, di vantaggio, in quel momento della mia vita e con le problematiche che mi trovavo ad affrontare in quel momento (non sono quelle di oggi) mi ha permesso di sviluppare quelle che in pedagogia si chiamano strategie compensative.
“Le strategie compensative vengono definite come l’insieme di procedimenti, espedienti, stili di lavoro o apprendimento in grado di ridurre, se non superare, i limiti della disabilità o del disturbo. Alcune sono elaborate autonomamente dall’alunno, altre possono essere proposte o suggerite dagli adulti.”
Io non avendo avuto “proposte suggerite dagli adulti” come chi invece riceve il sostegno, ho dovuto per forza sviluppare (solo) strategie in autonomia.
Meglio?
Peggio?
Solo un po’ diverso… Però è importante riflettere su questi aspetti e averne anche consapevolezza che, me ne rendo conto, è difficilissimo.
Ogni disabilità è un mondo unico e personale. La mia storia non vale per gli altri. Nessuna storia può fungere da modello teorico al quale fare riferimento. Si dovrebbe procedere in modo empirico: tentativi ed errori. Si prendono in considerazione diverse possibilità, si percorrono diverse strade e si sceglie quella che è la migliore in quel momento per quella persona, per raggiungere quel determinato obiettivo.
Allora, quando utilizzare e quando non utilizzare il sostegno? Con chi utilizzarlo e quanto utilizzarlo (nel tempo e con che modalità)? Sono domande fondamentali da porsi per non farlo diventare una stampella fissa anche quando non necessaria.
Il sostegno e i suoi docenti sono da intendersi come un punto di vista diverso dal punto di vista dei docenti di materia. Sono quasi da considerarsi più un supporto agli stessi per dar loro indicazioni sulle necessità specifiche di ogni singolo studente.
I miei genitori non sono stati particolarmente protettivi. Anzi, direi proprio il contrario. Forse anche eccessivamente poco protettivi. Questo però, devo essere molto sincera, ha avuto enormi vantaggi sulla mia autonomia ed indipendenza. Potremmo dire sia stato funzionale per la mia crescita come individuo in grado di prendersi cura di sé e degli altri, di relazionarsi in modo autonomo e “arrangiarsi nella vita e nel mondo”. Naturalmente ognuno ha i propri modelli genitoriali. Chi ama mettere molte regole, chi nessuna. Chi pensa che “i lavori forzati casalinghi” siano formativi, chi preferisce investire tempo e denaro per la formazione intellettuale e spirituale, eccetera (sognavo di poterlo scrivere! Sto leggendo l’opera di Annie Ernaux).
I miei genitori hanno scelto o adottato, forse senza particolare consapevolezza, il modello “puoi e devi fare tutto ciò che fanno gli altri”.
Certo, questo comportava dei rischi. In fondo però, sono i rischi connaturati al vivere e alla vita stessa. Vale per tutti. Quando i nostri bambini iniziano a diventare grandi e si affacciano al mondo abbiamo sempre tanta paura. Il problema è che la paura non protegge e non preserva dall’errore, impedisce solo di vivere.
Sono cresciuta con una disabilità sensoriale legata all’udito. Fino ai 19 anni è solo e sempre stata una questione di accettazione. Certo, per il mio io bambina è stato difficilissimo. Negli anni 80, in una scuola di 500 alunni, ero l’unica a portare gli apparecchi acustici. Mi veniva detto che era come avere gli occhiali. Gli occhiali li portavano in tanti. Io ero l’unica a portare le protesi acustiche. Sentirsi diversi nell’infanzia è qualcosa che inevitabilmente condiziona la tua personalità. Non parlo solo di disabilità. Per esempio, in quegli anni, in tutta la scuola c’era una sola bambina figlia di genitori divorziati. Ricordo ancora il suo nome. La diversità ha tante facce ma una sola emozione: la vergogna. Farti sentire sbagliato. Diverso da tutti gli altri. Aldilà della normalità, del conosciuto, del riconosciuto, del compreso.
È un sentimento, non una realtà. Siamo esseri sociali. I bambini, i ragazzi, hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo, di una comunità. Ecco perché l’inclusione di tutte le diversità è fondamentale per crescere individui sani e liberi, in grado di fondare una società di tutti, per tutti.
Una società in cui ogni voce avrà le parole e il luogo per raccontarsi. Senza paura di non essere ascoltati, di non essere capiti, di non essere amati, di non essere accettati così com’è, per quello che si è.
In fondo, ognuno di noi ha una diversità dei sensi, del corpo, dell’anima.
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