VAFFANCULO.
Le parolacce non si dicono.
Vero.
Questa però è un po’ particolare. Può essere anche uno slogan. Una forma di protesta, di ribellione, di libertà.
Un modo per abbandonarsi agli abissi che tutti noi abbiamo. Alle nostre fragilità. A quello che di noi ci fa paura, che tendiamo a nascondere perché pensiamo che non sia bello , che non piaccia. Invece sono la parte più vera di noi. E la più forte se abbiamo il coraggio di farla vedere e lasciarla scorrere.
La ribellione della gioia è stata una performance immersiva a cui ho avuto l’onore di partecipare. Mi ha messa nuda di fronte alle mie fragilità. Sono abituata a scriverle, a lasciar scorrere le parole. In quel momento, in quel luogo, di fronte a occhi che non potevo vedere ma sentivo, ad un certo punto mi è mancata la voce. Una voce che volevo non fosse solo la mia ma di tutte le persone con una diversità. Di tutti noi in fondo.
Eccola. Per tutti quelli che volevano ascoltarla allora e adesso.
Io sono Laura e oggi sono qui con voi per raccontarvi la mia storia. Una storia che non è migliore né peggiore di altre… È una storia che parla di diversità, della mia vita di donna che convive dalla nascita con due disabilità sensoriali, però parla anche di libertà. Della libertà di vivere senza condizionamenti, senza pregiudizi o almeno del tentativo di farlo.
Ho scritto la poesia “Ti auguro di essere libera” il giorno della festa della mamma. Provo un amore infinito per le mie figlie, sono sicuramente la cosa migliore che ho fatto nella vita.
Loro sono una parte della mia storia. Essere una mamma con una disabilità sensoriale non è sempre stato facile. Quando è nata la mia prima figlia Emma, è stata tutta un’avventura. Avevo paura di non farcela. Pensavo: non riuscirò mai a prendermi cura di lei!
Ora so che è la paura di tutte le neomamme. Sono pochissimi anni che le persone con disabilità hanno “conquistato” la genitorialità. La chiamo conquista perché è una sfida da saper cogliere: trovare il coraggio di crederci, la sicurezza di poterlo fare, convincere le persone che ti stanno intorno che lo puoi fare; incontrare una persona che, senza pregiudizi, voglia creare con te una famiglia. Nel passato penso sia stata anche una questione sociale. La società stessa, non riconosceva ad una persona con disabilità le capacità e le competenze per potersi prendere cura di qualcun altro oltre sé stessi.
Quando sono nate le mie figlie, è stata un’emozione travolgente. Non avrei più visto il mondo con gli stessi occhi.
Però, bisognava organizzarsi. La maternità mi ha insegnato ad essere molto pratica. Nel mio caso si trattava di capire come gestire un neonato nel modo migliore. Sono stata aiutata e ciò, nei primi anni, è stato fondamentale. Insomma, ho usato gli occhi degli altri per vedere quello che io non potevo vedere.
Da quando sono nata la notte per me è un’altra storia: un profondo silenzio avvolge ogni cosa. Ciò che nell’infanzia mi ha procurato moltissime paure, oggi ha i suoi vantaggi: non sento mio marito che russa! E vi assicuro che lo fa molto forte!
Con un neonato in casa, però, questo è un lusso non consentito. Anche in questo caso, ho semplicemente usato altre orecchie: quelle di Alessandro o quelle della nonna Gio quando lui era via per lavoro.
Fin dalla loro primissima infanzia ho sempre raccontato alle mie figlie il mio mondo. Tutta la verità sulla mia disabilità. Ho sempre cercato di lasciarle libere. Certo, ho fatto molte richieste pratiche: fin da piccole mi aiutano quando camminiamo per strada, in casa chiedo spesso dove sono le cose… Ormai faccio fatica a riconoscere anche i colori, quali cibi ci sono nel piatto o se le zucchine sono finalmente cotte o meno e soprattutto… Dove cavolo si trova il tasto di accensione del nuovo piano a induzione. Il design spesso non è al servizio di tutti, si sa, il contrasto non è di moda!
Ho anche cercato di lasciarle libere di non sentire un eccessivo senso del dovere nei miei confronti. Sono una donna autonoma e indipendente con i miei limiti. Ora che sono entrate nel magico mondo dell’adolescenza mi preoccupo un po’. Mi chiedo se qualche volta provano vergogna per questa mamma strana, che si muove nel mondo in modo strano. Sono una mamma imperfetta, come tutte. Forse le nostre imperfezioni sono diverse. Io sono nata imperfetta. Ma nonostante tutte le avversità che ho incontrato, la mia grande speranza è che alle mie figlie, rimanga la leggerezza e l’ironia con cui ho affrontato le difficoltà della mia vita… Che nella loro memoria rimangano momenti unici, come quando durante la pandemia ridevamo insieme perché se avessi contratto il virus mi sarebbe rimasto un solo senso… Il tatto!
Grazie alle mie amiche che hanno ballato sulle mie parole, a tutte le donne ribelli che hanno partecipato a questa performance immersiva e soprattutto grazie a tutti quelli che hanno assistito con il cuore, il corpo, gli applausi e forse anche con un po’ di fastidio e di resistenza.
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