Racconti di vita

Pensieri sparsi

11 Gennaio 2016

Durante la giornata migliaia di pensieri  affollano la mia mente in parole ed immagini. Alcuni sono ricorrenti, altri vanno veloci: arrivano e se ne vanno. A volte riesco a fermarli e a fissarli dentro di me come in uno scatto fotografico. Noi siamo anche quello che pensiamo…

E’ sempre una questione di angolazione, di punto di vista. Insomma, le cose dipendono sempre da come le si guarda. E’ un po’ di tempo che faccio questo gioco: quando cerco qualche cosa che non rientra nel mio campo visivo e che di conseguenza non riesco a trovare ma sono certa che è lì da qualche parte vicino a me abbandono “il campo” e vado in un altra stanza. Quando torno per cercarla e cambio angolazione, la trovo sempre!! E’ una mia personalissima strategia di sopravvivenza che  diventa una metafora di vita…

Adoro leggere le interviste. Scoprire spazi di vita e pensieri di altri attraverso gli “occhi” di qualcun altro. Da venticinque anni ho un punto di domanda tatuato sul polso destro. Me l’ha tatuato un’amica durante il primo anno di liceo, sui banchi di scuola, durante l’ora di ornato disegnato. Ne ho impiegati trentacinque per trasformarlo in un punto esclamativo: smettere di pensare e domandare e iniziare a fare…”Io ho una malattia, non sono malato”. Confida Ezio Bosso in un’intervista dichiarandolo come un manifesto. Se non lo conoscete è un pianista e compositore di fama internazionale che ha collaborato, tra i tanti, con Gabriele Salvatores per il quale ha scritto molte colonne sonore.  Era un po’ che cercavo il senso di tutto. Fa la differenza, credetemi. Viversi come un malato o come una persona che tra le tante cose ha una malattia. E’ un’altra storia, non meglio non peggio, solo un po’ diversa…

Sono stanca di pensare che gli altri non capiscano. Non ho più voglia di pensare “Noi e voi”. Cerco un ponte. Ecco dove nasce l’idea e la voglia di parlare e di condividere. Cerco di trovare un punto di partenza che sia un punto di contatto, un senso, un po’ di calore, comprensione, amore.

In “Wonder” di R. J. Palacio a tutti i protagonisti del libro è dedicato un capitolo in cui esprimono il loro punto di vista su August e la sua problematica. Via, sua sorella, ad un certo punto dice: “Ecco che cosa penso: abbiamo speso talmente tanto tempo a cercare di far credere ad August che era normale che adesso lui pensa davvero di essere di essere normale. E il problema è che non lo è.” Un giorno ne parlo con la pediatra delle mie bambine che per inciso adoro anche perché è il mio antitesi: una donna molto pratica e realista. Non sono d’accordo, è assolutamente giusto che i genitori di bambini con problematiche trasmettono quest’idea ai loro figli per infondere loro sicurezza ed autostima. Toccherà a loro, da adulti, prendere consapevolezza ed elaborare. E valorizzare la loro diversità. Farne qualche cosa che li identifichi si ma in meglio…

Dopo aver fatto la doccia vado in camera a cambiarmi. Arriva Chiara e come fa sempre mi abbraccia la gamba ancora nuda. Mi chiede se può vedere una certa foto che le piace molto. Non rispondo subito così lei mi chiede: “mamma, mi senti…li hai gli apparecchi?”. Rimango sorpresa perché ha solo due anni e mezzo ed è la prima volta che li nomina direttamente. Certo ogni tanto ci gioca e tenta di rubarmeli. Io gliene parlo da sempre. Quando andiamo a letto le dico che sto per toglierli e che quindi è ora di dormire. Però mi ha fatto tenerezza sapere che per lei la sua mamma è anche questo…

Foto di Stefano Regondi

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