Racconti di vita

Tokyo

22 Luglio 2024

“Tocca l’angolo con la mano. Cerca di capire come è fatto il muro e che cosa lo distingue da un altro angolo. Adesso non ti dira’ nulla di particolare, ma con il tempo lo riconoscerai e saprai di essere arrivata a casa“. 

Sono le ultime parole pronunciate da Chiara, la mia istruttrice del corso di Orientamento e Mobilità. È qualche mese ormai che ho iniziato questa nuova avventura. Non so dirvi il momento preciso in cui ho realizzato che era arrivato il momento. Non so neanche se è stato un pensiero illuminante o una serie di emozioni che a cascata hanno portato finalmente alla decisione: volevo imparare a usare il bastone bianco.

Iniziare a usare il bastone è stato difficilissimo. È stata un’impresa, a partire dalla scelta del bastone giusto per me: fisso, telescopico o pieghevole? Canadese, G2002 o Svarovsky? Con punta fissa, roller o rolling ball? Queste sono solo alcune possibilità della vasta gamma disponibile. Non avevo minimamente idea che avrei scelto il mio bastone come gli altri scelgono un’automobile o una bicicletta…

Non ho mai nascosto la mia disabilità. Ne parlo liberamente e con tutti. Ne parlo pubblicamente con voi, ci rido e scherzo, l’ironia è una delle armi che uso da sempre per affrontare la mia vita e le sue difficoltà. Non è sempre facile, mentirei se lo dicessi. 

Da quando sono nata convivo con la mia sordità. Scoprire a 19 anni che un giorno perderai la vista non è esattamente come passeggiare con i piedi nell’acqua di una spiaggia bianca nei Caraibi… Uso spesso questa metafora. Forse perché lì non ci sono ostacoli né barriere architettoniche. Rende bene l’idea secondo me…

Ci sono giorni complicati, difficili, dove la frustrazione e l’impotenza mi lasciano inerme. Non sono molti per fortuna. Negli anni ho imparato “a lasciare la presa”. Sono fortunata: per la maggior parte della giornata mi sento invadere di gioia e meraviglia per questa vita. Ho imparato negli anni “a lasciare la presa“ e a godere di ciò che ho: riuscire ancora a guardare il mondo con i miei occhi. Non ci sono più colori accesi e saturi, né nitidezza e perfezione nelle forme, ma ancora ho un po’ di residuo visivo che mi permette di distinguere i paesaggi e i lineamenti di chi mi sta vicino.

Sono sempre stata una persona molto indipendente e autonoma. Negli ultimi anni mi sono resa conto però che stavo rinunciando a troppe cose importanti che non riuscivo più a fare: prendere il treno per andare a Milano a vedere una mostra d’arte, dare appuntamento ad un’amica in un bar lontano da casa, raggiungere la scuola dove insegno YOGA in totale autonomia e soprattutto andare a prendere mia figlia Chiara all’uscita di scuola come tutte le altre mamme. La vita è fatta di cose semplici. 

Queste ed altre ancora sono state le mie forti motivazioni per iscrivermi al corso di Orientamento e Mobilità, eppure tenere in mano quel bastone è stato emotivamente travolgente. Rappresentava tutto quello che sapevo sarebbe successo un giorno, ma che in fondo speravo non sarebbe mai accaduto. Queste sono state le mie sensazioni durante le prime uscite: mi davano fastidio le altre persone perché mi sentivo guardata continuamente, non riuscivo neanche a trarre un grande vantaggio dall’usare il bastone perché è faticoso anche fisicamente. Richiede un certo grado di coordinazione (mano-piede alternati) e anche concentrazione e attenzione. Mi sentivo obbligata e costretta a questa scelta come unica soluzione alla mia condizione. Dovevo invece trasformarla in un’opportunità.

In un giorno di sconforto ho scritto ad un’amica che mi ha dato questo saggio consiglio: dovevo darmi del tempo. Aveva ragione. Ho iniziato a usarlo piano piano, le lezioni con la mia istruttrice Chiara sono durate più di sei mesi. Gli incontri sono fissati sempre ogni 15 giorni per lasciare decantare emotivamente e per darti la possibilità di fare pratica.

All’inizio penso proprio di averlo anche odiato profondamente: nelle viscere e con tutta me stessa. Ovviamente era tutto l’odio che non avevo mai provato. Non sono mai stata arrabbiata. È un’emozione che non è mai emersa nel mio cuore in relazione alla mia disabilità. 

Il bastone bianco era in quel momento la rappresentazione di tutte le mie paure riguardo a ciò che sarebbe potuto succedere. Poi ho pensato che stava già succedendo, anzi era già successo. Era una paura inutile. Volevo tornare a vivere al meglio delle mie possibilità e soprattutto a ridere anche con un bastone bianco in mano . 

Tokyo è il nome che ho scelto per il mio bastone. Ad un certo punto ho sentito che dovevo destrutturarlo. Un bastone è solo un bastone, ero io che lo caricavo di emozioni e di una narrazione che era parte di me. Piano piano ho iniziato un processo di meditazione per iniziare a vedere il bastone per quello che è: uno strumento utile per la mia mobilità. Tokyo è il braccio di un’amica o la mano delle mie figlie o di Alessandro. 

Gli ultimi tre incontri sono stati più complessi e difficili, ma non emotivamente. Dopo aver superato quella fase si trattava solo di capire e imparare come usarlo al meglio. In notturna è stata una sfida incredibile. In fondo è una pratica Yogica: devi toglierti completamente dall’idea di dove credi di essere e di quello che pensi di dover fare. Raccogliere le informazioni, rimanere nel sentire (vi assicuro che i muri si possono sentire senza vederli) e aspettare che l’illuminazione ti colga e che ti accompagni sulla strada verso casa.

È una strada ancora lunga… Ho appena iniziato. Ogni giorno mi capita sempre più spesso di incontrare persone che conosco mentre uso il bastone bianco. È una condizione che piano piano sta diventando la mia quotidianità. Un passo dopo l’altro, oggi quando cammino per strada ho tre piedi, tre mani e tre occhi…

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