Racconti di vita

Essere mamma

1 Luglio 2024

Ti auguro
di essere libera,
libera di amare
chi vuoi tu,
di sognare ad occhi aperti
senza paura di sbagliare,
di non temere i tuoi sogni ad occhi chiusi.

Libera di decidere di cambiare idea in ogni momento,
libera di fregartene di quello che pensano gli altri di te,
solo tu sai quello che hai dentro
e nessuno te lo potrà mai rubare.

Non permettere a nessuno
di dirti quanto vali
quello che devi fare
o quello che non puoi fare,
ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Non usare gli occhi degli altri per vedere ciò che ti circonda.

Permettiti di crederci,
amati sempre per quello che sei
non per quello che hai
o quello che fai,
sono importanti
ma non l’essenziale.
Ti auguro di essere libera di viverti.

Potremmo parlarne per giorni interi su cosa sia la libertà. Sono secoli che i filosofi si interrogano su temi come questo. Credo che cercare di scegliere e vivere senza condizionamenti sia una grandissima forma di libertà. Mi riferisco ai condizionamenti sociali, culturali, familiari ed educativi. Crescendo ci vengono imposti modelli e schemi mentali che per tutta una vita cerchiamo di scardinare e togliere per arrivare alla nostra vera natura, il nostro sé originario. Così almeno ci invita a fare lo yoga.

Ho scritto questa poesia il giorno della festa della mamma. Provo un amore infinito per le mie figlie ed oggi posso dirvi che sono la cosa migliore che ho fatto nella mia vita. Le guardo crescere ed evolvere dentro e fuori: una è una giovane ragazza con un sogno che le riempie la vita, l’altra sta lasciando il magico mondo dell’infanzia per addentrarsi nel complesso regno degli adolescenti. Non so dire precisamente quando ho sentito che un giorno sarei diventata mamma, ma sicuramente posso dire che è sempre stato un mio pensiero, anzi due pensieri. Da figlia unica infatti ho sempre pensato che se avessi avuto la fortuna di avere un figlio avrei cercato di dargli un fratello o una sorella. Adoro i bambini, chi mi conosce sa che sono un po’ come loro: mi piace molto scherzare, sono curiosa di tutto, faccio un sacco di domande (su ogni cosa, a volte anche un po’ assurde), esploro il mondo come se fosse la prima volta, vivo ogni esperienza come un’avventura, mi sorprendo molto durante la giornata della bellezza di ciò che ci circonda…

Essere mamma con una disabilità sensoriale non è sempre stato facile. Quando è nata la mia prima figlia è stata tutta una scoperta, un’avventura. Avevo paura di non farcela, pensavo che non sarei riuscita a prendermi cura di lei e di tutti i suoi bisogni. Credo però che sia la paura che tutte le neo mamme hanno. Non c’è molta letteratura che parla di genitori con disabilità, ma tantissima che riguarda genitori con figli portatori di handicap. Credo anche perché da pochi anni, pochissimi direi, le persone con disabilità hanno “conquistato” anche la genitorialità. La chiamo conquista perché una cosa normale per una persona con problematiche può davvero diventare una sfida da cogliere: trovare il coraggio di crederci, sentire la sicurezza di poterlo fare convincendo anche le persone che ti stanno intorno, incontrare una persona che senza pregiudizi (perché in questo caso solo l’amore non basta) decida di creare con te una famiglia. Penso che sia anche una questione sociale: non venivano riconosciute ad una persona con disabilità le capacità e le competenze per potersi prendere cura di qualcun altro oltre sé stesso.
In molti casi c’è da considerare poi il tema della genetica. Per fortuna la scienza ha fatto passi da gigante. Con le conoscenze di oggi possiamo avere molte più informazioni per orientarci e poi decidere. Nessuna persona vorrebbe mai dare ai propri figli una malattia, una disabilità, una difficoltà con la quale convivere per tutta la vita. Non deve essere stato facile per i miei genitori accettare di aver trasmesso (involontariamente ed inconsapevolmente) oltre a occhi e capelli neri e un corpo longilineo anche una mutazione genetica. Lo immagino come un dolore sordo che non passa mai.

Quando è nata Emma è stata un’emozione travolgente. non avrei più visto il mondo con gli stessi occhi. Bisognava però organizzarsi: la maternità tra le tantissime cose mi ha insegnato ad essere molto pratica. C’è un bisogno e mai un solo modo per soddisfarlo. Nel mio caso si trattava di capire come gestire un neonato nel modo migliore. Sono stata supportata da aiuti esterni che nei primi anni sono stati fondamentali. Insomma, ho usato gli occhi degli altri altri per vedere quello che io non potevo vedere. Ad esempio quelle bellissime, per usare un eufemismo, macchioline rosse che nell’infanzia indicano di tutto: da un irritazione della pelle ad una malattia infettiva.
Poi crescendo è arrivata l’era dei parchetti giochi. Quello è stato un momento un po’ complesso. Prima dei tre anni è difficile spiegare ad un bambino che non si deve allontanare troppo e cosa può o non può fare. Gli adulti devono vigilare i loro figli. Anche in questo caso ho usato gli occhi preziosi delle mie amiche o della nostra tata Lella.

Una persona con sordità congenita grazie all’ausilio delle protesi acustiche può da molti anni sentire tutti i rumori di questo mondo. La notte però è un’altra storia: un profondo silenzio avvolge ogni cosa. Nell’infanzia mi ha procurato moltissime paure. Oggi posso dirvi che ha i suoi vantaggi: non sento rumori esterni che disturbano il mio sonno. Con un neonato in casa non è consentito però godere di questo piacere, semplicemente ho usato altre orecchie: quelle di Alessandro o in sua assenza quelle della nonna.

Ho intensamente desiderato la mia seconda figlia. Ho sempre pensato che sarebbe stata bellissimo per Emma condividere tutto quanto con una sorella o un fratello. Mi sembrava che anche le mie problematiche potessero così “diluirsi” un po’…
Fin dalla loro primissima infanzia ho sempre raccontato il mio mondo, la verità su ogni cosa che riguardava la mia disabilità. Non ho mai voluto proteggerle perché volevo che fosse la “nostra normalità”. Ho sempre cercato di lasciarle libere. Certo ho molte richieste pratiche: fin da piccole mi aiutano quando camminiamo per strada; in casa chiedo spesso dove sono le cose, ormai faccio fatica a riconoscere anche i colori, quali cibi ci sono nel piatto o se le zucchine sono finalmente cotte o dove si trova il tasto di accensione del nuovo piano a induzione. Il design spesso non è al servizio delle persone con una disabilità: non si devono vedere le cose, il contrasto non è gradevole alla vista!
Cerco però anche di lasciarle libere di non sentirsi in obbligo di occuparsi di me. Ora che sono in età adolescenziale sento irritazione nei confronti delle mie problematiche. Forse anche un po’ di vergogna per quella mamma strana , che si muove e agisce in modo strano. Sapevo che sarebbe successo. A volte è un po’ doloroso, ma penso non più di qualsiasi rifiuto o distacco che prova un genitore privo di disabilità. Stanno facendo il loro lavoro di adolescenti, se e quando esagerano glielo faccio notare ma perlopiù le lascio libere di viversi anche questo momento di rifiuto e ribellione.

Ho costruito le mie figlie pezzo per pezzo.
Noi donne abbiamo il potere di costruire esseri pensanti.
Sono una mamma imperfetta. Sono nata imperfetta. Sicuramente lungo tutta la vita mi verranno imputate colpe e mancanze. Spero che a loro rimanga la leggerezza e l’ironia con cui ho affrontato le mie difficoltà. Il ricordo di quando durante il COVID mi prendevano in giro perché se avessi contratto il virus mi sarebbe rimasto un solo senso… Il tatto! Potrei raccontarvi tantissimi aneddoti che ci hanno fatto ridere. È un’arma potente che aiuta a trasformare qualcosa in qualcos’altro…

You Might Also Like

No Comments

Leave a Reply