Storie dal mondo

La spontaneità nell’arte e l’etica della diversità

16 Settembre 2015

Ho conosciuto Stefano Regondi ai tempi dell’università. Eravamo giovani e appassionati e avevamo tanti interessi in comune: l’arte, il cinema e i viaggi che muovono la curiosità di scoprire l’altro da sé. Ora vive e lavora a Roma. La sua sensibilità e il suo sguardo capaci di osservare e analizzare il mondo intorno a sè sono sempre stati per me un punto di riferimento. Da vent’anni si occupa di disabilità a 360 gradi e usa, in diversi modi e tempi, l’arte e i laboratori artistici come strumento terapeutico.

La pretesa di normalizzazione di tutto ciò che è considerato diverso ed “altro da sé” produce costantemente dei fenomeni di violenza etica inconsapevoli. Cosa accadrebbe se la diversità, in tutte le sue forme, diventasse semplicemente un fenomeno a sé e non più un qualcosa di spaventoso e grottesco da normalizzare? Esiste realmente la possibilità di mitigare i processi impositivi di trasformazione verso dei canoni ritenuti ideali dalla società?

L’idealismo attuale, pur essendo frutto di processi di crescita societaria legati al pensiero filosofico classico, ha probabilmente perso la caratteristica trascendentale di concetti legati all’idea in sé di perfezione. L’iperuranio contemporaneo è quindi un parallelismo falsato dell’iperuranio platonico che riconosceva la perfezione in forma assoluta come un concetto intangibile, seppur presente come caratteristica ancestrale nell’uomo (Reminescenza). Oggi il concetto di perfezione assoluta risulta essere fortemente condizionato da dei canoni estetici e comportamentali strettamente collegati ad una produzione concettuale contemporanea, di certo non legata a canoni classici. Si è probabilmente forgiata un’idea in sé di perfezione assoluta antagonista all’originale platonica: siamo forse di fronte ad un iperuranio 2.0? In tale contesto le forzature nei confronti della diversità o di tutto ciò che non sia assimilabile all’iperuranio 2.0 hanno forse prodotto uno stato di deprivazione etica che non concepisce il rispetto totale dell’altro da sé come forma esistenziale compiuta e, quindi, perfetta in quanto tale. La diversità viene quindi vissuta come deformazione della perfezione antagonista e non come altra forma di perfezione.

Anche nell’arte ogni forma di avanguardia ha incontrato, nel tempo, un’accoglienza a dir poco ostica, appunto perché fuori dagli schemi artistici riconosciuti e, pertanto, difficile da accettare. Forse rientriamo nella banalità dei comuni processi di accettazione sociale delle novità ma esistono delle forme espressive in campo artistico contemporaneo che non sono mitigate da percorsi accademici e da condizionamenti procedurali riconosciuti come indispensabili per decretare il carattere artistico di un’opera. L’idea di perfezione è soggetta pertanto ad una deformazione che sfocia in accettazione delle diversità in quanto altra forma di perfezione.

Il pittore e scultore Jean Dubuffet (Le Havre31 luglio 1901 – Parigi12 maggio 1985) formula il concetto di Art brut (Arte grezza) nel 1945 per indicare le opere prodotte dagli ospiti di ospedali psichiatrici e da non professionisti non curanti delle norme estetiche convenzionali o accademiche. Dubuffet vuole dare una definizione a quelle forme artistiche spontanee, prive di condizionamenti di settore e pertanto esterne ai canoni di giudizio che possano ricondurre una forma non convenzionale ad un prodotto frutto di una “normalizzazione”, seppur di settore. Insomma un atteggiamento che cela una profonda etica della diversità ed innalza un prodotto considerato brutto o non convenzionale ad opera d’arte e, di conseguenza, portatrice di messaggi e di valore estetico in quanto tale.

Tali artisti vengono definiti outsiders e hanno tutti alle spalle una storia particolare, un’altra storia insomma… Appunto per le proprie vicende di vita personali si formano e lavorano al di fuori del circuito ufficiale dell’arte e, per questo motivo, sono portatori di intuizioni e di valori estetici nuovi, originali e per così dire “puri”.

C’è tanto da imparare dalla semplicità e dall’assenza di sovrastrutture estetiche e, senza andare troppo lontano, anche nei laboratori artistici per persone diversamente abili spesso ci si imbatte in vere e proprie opere d’arte: prodotti che privi di condizionamenti estetici si mostrano appunto puri, nella loro bellissima semplicità. Chi disegna o dipinge sa perfettamente quanto sia complesso cercare di destrutturare una immagine riportandola a un grafismo primordiale, proprio perché siamo totalmente bombardati da immagini, condizionati da canoni estetici e infarciti di informazioni che alterano l’idea di bellezza originale e primitiva classificandola come semplicistica e puerile… Dove sta per tanto la perfezione? Bisognerebbe provare a cercarla in contesti differenti in cui la diversità non viene vissuta come limite, luoghi in cui i condizionamenti esterni spesso cedono il posto alle emozioni e dove il diverso è un soggetto vivo e pensante, spesso e volentieri puro di cuore…

 

Fonti:

Fedro, Platone.

http://libreriamo.it/a/8501/jean-dubuffet-il-fondatore-dellart-brut-larte-dei-pazzi-e-dei-bambini.aspx/

Nella foto: Pesce, smalto su piatto in ceramica. M., l’autore, è un signore con sindrome di Down e affetto da autismo. Non parla, interagisce pochissimo ma disegna e dipinge.

 

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2 Comments

  • Reply pittura 27 Agosto 2018 at 15:15

    Terrò nota ddi questo articolo

    • Reply Laura Scatizzi 10 Settembre 2018 at 13:04

      Grazie!!

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