A te, per avermi aiutata a salvarmi.
“Ai ragazzi, leggeri come stracci”. P. Pasolini
La guardai alzarsi e uscire dalla porta del mio studio. In mezzo c’era stato uno dei suoi sorrisi larghi e pieni. I capelli neri, i lineamenti gentili su un viso senza sbavature. Perfetta nei suoi 19 anni: con i dubbi nel cuore, domande nella testa e l’urgenza nelle gambe. Voleva scappare Lontano. Prima di tutto lontano da sé stessa.
Non ricordo esattamente quando ho deciso che avrei fatto questo lavoro. Sicuramente Anna mi ricordava ogni volta il perché. Scavare nelle pieghe delle vite delle persone per aiutarle a trovare una posizione più comoda e stabile per la loro anima. Aiutarli a dare una nuova forma a quello che loro riconoscono e chiamano dolore. Erano passati vent’anni. In mezzo c’era stato un figlio e un divorzio. La mia vita a margine di queste quattro mura. Dentro la vita degli altri, fuori la mia.
Inspirai profondamente come a cercare forza. lasciai scivolare il mio sguardo sul grande quaderno appoggiato sulla mia scrivania. Era di Anna, l’aveva messo lì all’inizio della seduta. Le avevo proposto di scrivere i suoi pensieri quotidianamente: le emozioni che provava nel momento stesso in cui nascevano. O almeno appena finiva di viverle. Tutto ciò che le accadeva, fatti mischiati a sentimenti in modo da scioglierli e separarli gli uni dagli altri come quando in cucina si separa con le dita il baccello dai semi. Avevo capito che per lei sette giorni, il tempo tra una seduta e l’altra, sarebbero stati come un mare in tempesta. Così avevamo inventato quel modo di parlare attraverso quelle pagine scritte. I pazienti non sono tutti uguali. È inutile mentire a sé stessi. Cerco sempre di mettere tutta la mia professionalità e competenza al servizio della persona, ma non tutte le persone sono uguali. Alcune ti entrano dentro e non ti lasciano.
La prima volta che la vidi mi colpì profondamente. Quello strano modo di parlare e camminare. Sembrava già adulta, quasi vecchia per la sua età. La profondità con cui scavava dentro sé stessa era disarmante. Come un bambino che scava nella sabbia per ore, senza mai annoiarsi. Era alla spasmodica ricerca di capire da dove veniva, chi era, perché si comportava in quel modo. O meglio perché reagiva in quel modo in certe situazioni. Soprattutto voleva sapere da dove arrivava tutto quel dolore. Non capiva e non si sentiva capita. Come ogni adolescente stava cercando la sua identità. Dal pronome idem che significa uguale e indica proprio un principio di uguaglianza rispetto a sé stessi. Prima però bisogna riconoscersi.
Era arrivata da me da poco meno di un anno. Si era persa. Nel mondo e dentro sé stessa… Mi chiamarono una sera i suoi genitori disperati come solo un genitore può esserlo quando non sa cosa fare, non sa cosa dire. Come dirlo: quali parole usare e quali evitare. Presi in mano il suo quaderno. l’aveva scelto grande, con la copertina rigida, di un materiale naturale, forse riciclato. Conteneva fogli con una carta sottile, a righe. Lei scriveva in nero o in blu, io le rispondevo con una penna a inchiostro verde. Come la speranza, avevo pensato. L’ultima a morire, dice il proverbio. Ogni sua parola era una richiesta di aiuto. Era così autentica e profonda che a volte dovevo toccare la sedia per non cadere. Maneggiare i sentimenti degli altri pone di fronte ad una grande responsabilità. All’inizio della mia professione non l’avevo considerato. Normalmente le persone si affidano perché si fidano. Non si può tradirli. Si può sbagliare ma non tradirli. Mi alzai, infilai le mani in tasca e feci qualche passo verso la finestra. Stava nevicando.
5 gennaio 1995
Che strano giorno oggi. Sembra un po’ la data del mio compleanno: 6 maggio 1976. Curiosa questa cosa. A volte mi sembra che il destino stia giocando con me. O sono io a giocare con lui? Non so se hanno mai capito veramente la mia paura del buio. Non so neanche se ho mai provato a spiegarla, a dir loro la verità. Più che il buio mi fa paura il silenzio. Il buio lo amplifica rendendolo assordante. Ho paura perché non sento i rumori. Potrebbe succedere qualsiasi cosa intorno a me ed io lì, ignara di tutto.
8 gennaio 1995
Tutto riparte. Eppure io sono ferma. Non mi sembra di andare avanti. Non mi sembra di andare da nessuna parte. Non saprei dove andare tra l’altro. Oggi mi sono alzata tardi. Aveva abbastanza tempo per prepararmi e andare a scuola. Non so neanche perché ci vado. Non la vedo come una strada, come una possibilità. Ci vado e basta. Inserisco la prima, poi la seconda, la terza entra da sola… quando sono in aula però sono attenta. Sono curiosa, chissà di cosa parleremo oggi.
10 gennaio 1995
Domani ci vediamo. Non so cosa ho da raccontarti di nuovo. Penso spesso a queste ultime vacanze di Natale. Sto raddrizzando un po’ la mia vita ma rimangono dei pezzi in giro. Dimentico una parte di me nel letto, un’altra in doccia, un’altra ancora nella macchina. Non trovo colla per unire ogni parte. Tutte le cose che provo le racconta solo a te. Fuori tutti vedono una ragazza, dentro ce n’è un’altra.
12 gennaio 1995
Cara Anna,
ogni volta che leggo le tue parole, i tuoi pensieri, quello che provi, penso a quanto sono preziose e importanti le tue riflessioni. Sono uniche. Tu sei unica. Un antico detto zen recita: “tre cose non devi fare alla tua vita: non chiuderti, non chiudere, non farti chiudere.” Ogni dolore nasce da una fonte diversa. Quando riuscirai a guardarlo si scioglierà come neve al sole. Io ti sarò vicino, non preoccuparti. Dovrai farlo tu però, lo sai. Volevo dirti un’altra cosa. Ci ho pensato molto in questi ultimi mesi. Dovresti fare l’università, hai tutte le capacità per riuscirci. Anche bene. Ne sono assolutamente convinta. Studiare non è solo importante per il tuo futuro. Studiare è bellissimo perché ti permette di conoscere e conoscerti. Soprattutto le facoltà umanistiche. Pensaci… poi quando vorrai e ti sentirai pronta ne riparleremo!
Un grande abbraccio, Elisabetta.
Appoggiai la penna e chiusi gli occhi per un momento. Era ora di tornare a casa.
No Comments